Venezia tradita by Lorenzo del Boca

Venezia tradita by Lorenzo del Boca

autore:Lorenzo del Boca
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788851142032
editore: UTET
pubblicato: 2016-09-04T16:00:00+00:00


9.

Senza cena, bagnati dalla pioggia,

e in marcia per la strada sbagliata

Al momento di dare la parola alle armi, ciascuno sembrò intimamente persuaso che l’Italia ce l’avrebbe fatta. Si trattava della cosiddetta terza guerra d’indipendenza del Risorgimento, la prima affrontata da un esercito veramente tricolore.

Nel mondo della politica, era convinzione diffusa che solo una prova di forza – anche a costo di un importante tributo di sangue – avrebbe obbligato le altre nazioni europee a rispettare l’Italia.

Francesco Crispi, più esplicitamente di tutti, sentenziò che «era imperativo per la giovane Patria ottenere il proprio battesimo del fuoco». Solo così il mondo avrebbe preso coscienza che i Savoia guidavano una grande Nazione guerriera.

I contingenti che si mossero, in treno, da Porta Nuova, consolidarono l’impressione di efficienza. I soldati, in fila per quattro, con zaino e moschetto, riempirono una teoria sterminata di vagoni della Società per le Ferrovie dell’Alta Italia. Ordine e disciplina. Nessun contrattempo.

La stazione era ospitata in un enorme capannone, dove un altro esercito – più piccolo – di operai lavorava da sei anni, anche se la sua attività, fra discussioni e bisticci, andava avanti a rilento.

In partenza anche il tenente Edmondo De Amicis (non ancora scrittore di successo) che aveva scelto l’esercito solo perché assicurava pagnotta e stipendio. Non si sentiva propriamente un guerriero, ma conveniva che quella che stava per iniziare era una guerra giusta. Dopo l’accademia di Modena, era stato assegnato al 3° reggimento fanteria, inquadrato nella brigata Piemonte.

Le signorine mandavano baci e lanciavano sigari e arance.

Questa del 1866 continuò a presentarsi come la guerra di Davide contro Golia ma, a differenza dei conflitti precedenti, l’esercito godeva di grande stima. Il Paese era disposto a scommettere sul valore dei suoi uomini e sull’abilità dei comandanti. A marciare contro il nemico si stavano muovendo 250 000 uomini: un numero di molto superiore a quello che gli austriaci potevano opporre.

Innumerevoli testimonianze straniere certificarono che l’Italia era scossa da fremiti patriottici che sembrarono assolutamente saldi. Anche se le incitazioni facevano il verso all’imbelle «armiamoci e partite». Il grido di guerra venne da deputati, comizianti e giornalisti trentenni che pronunciarono discorsi infiammati salvo poi attendere l’esito delle battaglie in pantofole. La divisa era indossata dai poveracci. Per legge era possibile sottrarsi al servizio di leva pagando un sostituto.

L’ottimismo del Paese si appoggiò perciò su una base piuttosto posticcia. La gente, dell’esercito, conosceva soltanto gli episodi eroici che, per buon peso, venivano anche ingigantiti, a uso della propaganda casalinga. Si riteneva di essere nelle mani di grandi condottieri e lo stesso Vittorio Emanuele II si era sforzato per accreditarsi la fama del valoroso. La storia amava tacere i dettagli sgradevoli e l’insipienza dei generali.

Carlo Corsi assicurò che «tutti, ufficiali e soldati, pieni di fede in questa guerra, avevano li animi altissimi». Però il 47° fanteria non aveva né scarpe né camicie. I bersaglieri, a Milano, avevano trovato vuoti i magazzini del vestiario. E il I Corpo d’Armata reclamava 3000 pezze da piedi.

Alla vigilia del conflitto, non si sapeva che il tempo consumato dai generali



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